5.
ANCHE I MOSTRI SI INNAMORANO
Sandra
Dalle foto che mi mostrava Julián era difficile riconoscerli. Fisicamente erano delle altre persone. Alcuni conservavano tratti impossibili da nascondere, come le stature fuori dal comune di Fred e Aribert Heim, il Macellaio di Mauthausen, che adesso in testa aveva quattro peli bianchi. Camminava curvo, come se non riuscisse a sostenere il peso del suo scheletro enorme. Mi ricordavo di averlo visto solo una volta in casa dei norvegesi, al compleanno di Karin, e mi era sembrato un uomo amabile. Mi aveva stretto la mano e rivolto un sorriso. La cicatrice che gli attraversava la faccia e gli occhi azzurri di Otto Wagner erano diventati meno visibili, si erano spenti a poco a poco. E l’Angelo Nero, che a quanto pareva si chiamava Sebastian Bernhardt, non aveva segni particolari: era un uomo normale, anche se si tingeva i pochi capelli che gli restavano ai lati della testa.
Secondo Julián, quello che fino a quel momento per me era stato l’Angelo Nero era morto in Germania. Invece in realtà era tornato in questo paesino, dove aveva già vissuto per una decina d’anni a partire dal 1940. Lui e la sua famiglia si godettero una villa donata da Franco come riconoscimento dei servizi resi, che erano consistiti nientemeno che nel convincere Hitler ad aiutare il regime. Mi ripromisi che, quando fossi tornata alla vita normale, avrei letto di più. Come era possibile che un uomo così vecchio potesse reggersi ancora in piedi? Sua moglie, che si chiamava Hellen, probabilmente era già morta e i suoi figli erano già andati in pensione. Sebastian aveva sempre avuto fama di persona modesta e piacevole e continuava a esserlo, potevo testimoniarlo anch’io. Julián ebbe subito il sospetto che la famosa casa di Sebastian fosse l’attuale Villa Sol. Verosimilmente l’aveva venduta ai norvegesi e si era trasferito in un appartamento più adatto alle sue esigenze. A Villa Sol si respirava un fondo di serenità che probabilmente avevano lasciato Hellen e i suoi figli. Io non capivo come una persona dall’aspetto tanto ragionevole e comprensivo come Sebastian potesse essere uno di loro, come potessero non ripugnargli i crimini che avevano commesso. Mi chiedevo cosa potesse accadere nella mente di una persona per arrivare a non pentirsi mai di niente. In fin dei conti era l’unico di quella tribù ad avere uno sguardo umano: gli altri erano degli impostori. Avevano continuato a uccidere anche dopo la guerra o si erano saziati per sempre? Sarebbero stati capaci di uccidere con le proprie mani o avevano bisogno di un’organizzazione?
Prima non sapevo niente di tutto ciò, e non lo avrei mai saputo se non mi fosse saltato in mente di venire a passare qualche giorno al mare. Mauthausen, Auschwitz. Quante volte avevo sentito quei nomi! Allora, però, erano anni luce lontani da me, perlomeno alla distanza di Orione, facevano parte di un passato che non mi apparteneva. E adesso li avevo a qualche metro, a volte a pochi centimetri dal naso.
Aribert Heim mi aveva stretto la mano, e quando seppi cosa avevano fatto quelle mani sentii che ormai ero coinvolta e non potevo più lasciar perdere, anche se c’era sempre la possibilità che si trattasse di un sosia: in fondo gli anziani si assomigliano tutti. Speravo con tutto il cuore che non fosse vero, di non aver stretto la mano al Macellaio. Il solo pensiero mi ripugnava. Al momento si poteva dimostrare solo l’identità di Fred grazie alla croce d’oro: il resto erano solo congetture.
«Sai fingere?» mi aveva chiesto Julián. «Sai fingere al punto che a loro non venga neppure in mente che ti interessi a quella vecchia storia dei nazisti e dell’Olocausto?» La verità è che davanti a me non si parlava mai di politica. Non si diceva niente di importante, anche se a volte scappava qualche frase in tedesco che - non c’era bisogno di conoscere la lingua per capirlo - esulava dal tono generale. Quelle precauzioni, ne ero certa, non erano per me, ma perché erano abituati così: per questo erano sfuggiti tante volte a Julián. Se non avessi saputo che erano nazisti avrei continuato a considerarli persone normali. Eppure adesso tutto, ogni singolo dettaglio, aveva un significato: i lineamenti marcati di Fred erano tratti ariani e lo strano vigore di Alice proveniva Dio solo sa da dove, magari dalla fiducia nella propria superiorità genetica. Decidemmo che non avremmo mai menzionato i loro veri cognomi perché non mi sfuggissero quando parlavo con loro.